ROBERTO PUPI APRILE/GIUGNO 2018

Può una fotografia fare ombra?

Testo critico di Angela Sanna

 

Se la fotografia potesse fare ombra, le immagini potrebbero, a loro volta, farsi tattili?

E’ questo il quesito che sottende gran parte della ricerca creativa di Roberto Pupi, da tempo sottesa alla necessità di dare corpo alla bidimensionalità. Questa sfida si gioca tutta qui, tra il puntiglioso impatto realistico della rappresentazione e il cortocircuito che può crearsi tra riproduzione e consistenza, tra fotografia e corporeità, tra ombra e riflesso. Nel suo intento di conferire tridimensionalità all’immagine, Pupi infonde volume alle inquadrature di soggetti reclutati nella sfera umana e naturale, non scevri da memorie iconografiche dei secoli passati. Ecco allora le riproduzioni di piedi, mani e volti collocati in aggetto su soffitti, pareti e pavimenti, oppure di vegetali trasformati in solidi geometrici irregolari sospesi nello spazio o sparsi sul pavimento. A un repertorio diverso ma parallelo appartengono le immagini ingigantite di fiori che fanno germinare filari di petali in rilievo, oppure le fotografie di piante rigogliose che simulano la forma e lo spessore di zolle di terra.

    L’idea di scuotere lo spettatore da una percezione assuefatta e di affrancare la fotografia dalla sua fissità innata sembra suggerire qualche sommerso tributo, qualche lontano influsso, dell’eredità e della lezione di grandi maestri già sedotti dal potenziale stupefacente dell’immagine. Primo fra tutti Magritte, cantore e oppositore dell’inganno e della “trahison des images”, oppure Karl Blossfeldt e Mappelthorpe, maghi di fotografie vivide e turgide, o ancora, su un piano più formale, i protagonisti dell’estroflessione che hanno contrastato la bidimensionalità della tela e, infine, le esperienze optical già attive sul sottile crinale che unisce mente e percezione.

    La forza e la fragilità dell’immagine fotografica costituiscono uno dei binomi sul quale s’interroga Pupi. In questo senso egli mette alla prova la visione dello spettatore con mezzi espressivi che sono l’estroflessione, la frammentazione, le sfaccettature, lo sdoppiamento, la frattura e perfino l’anamorfosi, riletta in chiave concettuale e personale. L’ambientazione architettonica gioca qui un ruolo primario poiché solo essa può dare un senso compiuto a quest’illusionismo, colto e sensibile. Forse è proprio questa sensibilità, sottile e tattile allo stesso tempo, cui si unisce un sentimento forte della natura, che sospinge l’artista verso un processo di evidenziazione teso verso il mondo e la sua rappresentazione. Come quando Valerio Magrelli evoca, nei propri versi poetici, quell’immagine, “pupa d’ombra” nata da uno scatto fotografico che va cercando la propria natura e autonomia come una “cesta lasciata a galleggiare sulle acque per mettere in salvo la forma”.